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“Nuova sperimentazione genica su topi affetti da degenerazione retinica”.

Un gruppo di ricercatori  (Michael H. Berry , Amy Hol, , Autoosa Salari,, Julia Veit1,, Meike Visel, Joshua Levitz, Krisha Aghi ,Benjamin M. Gaub, Benjamin Sivyer, John G. Flannery  e   Ehud Y. Isacoff1,)    di Berkeley in California e di Portland in Oregon, ha pubblicato un articolo uscito on line su Nature Communications  dal titolo  “Restoration of high-sensitivity and adapting vision with a cone opsin” .

 

L’articolo è uscito  il 15 marzo 2019  e riporta i risultati di una sperimentazione relativa a un trattamento in grado di ripristinare la vista in topi ciechi a causa di una degenerazione retinica ereditaria.

L’ articolo era stato inviato per la pubblicazione a marzo del 2018 ma è stato accettato dalla rivista  solo a febbraio del 2019. Probabilmente i revisori hanno richiesto ulteriori  conferme  sperimentali dei risultati ottenuti.

 

I trattamenti  di terapia genica disponibili fino a oggi sono limitati dalla necessità’ di conoscere il gene che in quel determinato paziente causa la retinopatia. Inoltre per garantire l’efficacia  della terapia genica e’ necessario che nella retina siano ancora presenti le cellule nelle quali il gene deve inserirsi , in genere i fotorecettori. Questa  condizione non sempre  e’ presente soprattutto in soggetti che sono  in uno stadio avanzato della malattia.

 

Si era cercato di  trovare una soluzione per superare queste due difficoltà  utilizzando la terapia optogenetica che consente di inserire nelle cellule gangliari della retina , che  in genere rimangono  conservate e funzionanti  anche in stadi avanzati di  degenerazione retinica, geni di derivazione microbica codificanti per proteine che, come le opsine  presenti nei fotorecettori (coni e bastoncelli) reagiscono alla luce causando  un segnale elettrico. Queste opsine tuttavia  ,  per determinare la creazione di un impulso elettrico,  hanno bisogno di una forte  intensità luce . Inoltre sono molto lente a rigenerarsi e ciò impedisce di percepire oggetti in movimento. Nelle sperimentazioni di trattamento  con la terapia optogenetica devono pertanto essere pertanto utilizzati anche degli  occhiali che aumentano l’ intensità della luce. L’intensità  necessaria è però a livelli tali da  costituire un rischio  di  danno per la retina.  Inoltre la lentezza della rigenerazione  di queste opsine  non consente di percepire  oggetti in movimento .

 

Nell’articolo appena pubblicato, i ,  ricercatori  di Berkley e di Portland hanno quindi  cercato quali altre proteine sensibili alla luce potessero essere inserite nelle cellule gangliari tramite le ormai consolidate tecniche di terapia genica. La proteina prescelta e’ stata una opsina normalmente presente nei coni, in particolare nei coni sensibili alla luce a  media lunghezza d’onda . Hanno quindi  iniettato nel vitreo di topi ciechi a causa di mutazioni in un gene che anche  negli esseri umani causa una distrofia retinica il virus con il gene della opsina MW. .

Le cellule gangliari della retina sono  quelle dalle quali si dipartono i prolungamenti che tutti insieme formano il nervo ottico. Queste cellule sono in genere presenti e funzionanti anche in persone con uno stadio avanzato di degenerazione retinica ereditaria o di degenerazione maculare legata all’età. Nei topi ciechi trattati  ai quali è  stato inserito nelle cellule gangliari con  la terapia genica il gene della  opsina MW si e ristabilita la funzione visiva in varie condizioni ambientali di luminosità e i topi trattati erano anche in grado di vedere oggetti in movimento.
Qualora questi risultati fossero confermati in altre sperimentazioni animali, e successivamente sull’uomo si aprirebbe la strada a una strategia efficace di trattamento sia per  gran parte delle distrofie retiniche ereditarie , sia per le persone con la degenerazione maculare legata all’età

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