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Edema Maculare Cistoide

Edema maculare cistoide postchirurgico

Edema maculare cistoide (EMC) nella chirurgia della cataratta con tecnica di facoemulsificazione
Ritorno su uno dei problemi più temuti da chi si dedica alla chirurgia della cataratta: la comparsa di un edema maculare cistoide (ECM); tale patologia può infatti vanificare il risultato di un intervento per il resto condotto correttamente, determinando una compromissione del visus anche piuttosto marcata.

L’edema maculare cistoide viene distinto classicamente in:
1. Fluorangiografico: quando cioè il quadro clinico non dà dei disturbi soggettivi ed è evidenziabile soltanto alla FAG (fluorangiografia).
2. Clinico: caratterizzato da un rilievo soggettivo oltre che obiettivo e strumentale.
Storicamente il primo a definire le alterazioni vitreali e maculari che potevano verificarsi dopo l’estrazione della cataratta fu Irvine che descrisse tale quadro in un lavoro pubblicato sull’American Journal of Ophthalmology.
È bene ricordare che correva l’anno 1953 e che si era in piena epoca I.C.C.E.; successivamente nel 1966 Gass ne mise in rilievo l’aspetto fluorangiografico.
Da un punto di vista anatomo-patologico si verifica un accumulo di liquido proteinaceo in corrispondenza dello strato plessiforme esterno e nucleare interno, nei casi particolarmente severi l’imbibizione edematosa può coinvolgere l’intero spessore retinico dalla membrana limitante interna a quella esterna; come è facilmente intuibile l’accumulo di fluido distorce la normale anatomia regionale con possibili ripercussioni sulla funzionalità visiva.
La patogenesi dell’edema maculare cistoide, anche se non è completamente chiarita, sembra sia in relazione all’alterazione della barriera emato-retinica in conseguenza del rilascio di mediatori flogogeni; si verificherebbe cioè una reazione a cascata dove il trauma chirurgico sul segmento anteriore – soprattutto sull’iride – funge da “trigger”; ciò comporterebbe il rilascio di prostaglandine che, essendo in grado di diffondere nella cavità vitreale e nella retina, causerebbero la rottura della barriera emato-retinica elettivamente a livello dei capilllari perifoveali e del nervo ottico.
Un’altra teoria assegna nel determinismo dell”edema maculare cistoide un ruolo anche alle alterazioni vitreali secondarie alla chirurgia; secondo questa teoria entrerebbero in gioco delle trazioni vitreali sull’area maculare che porterebbero allo sviluppo dell’edema.
Non bisogna poi dimenticare la possibilità che sostanze di uso più o meno routinario durante la chirurgia ne possano favorire l’insorgenza, come è il caso di farmaci adrenergici (epinefrina) o come il caso di antibiotici come la vancomicina. In uno studio del 1999 si è visto che l’uso intraoperatorio di tale antibiotico determinava un aumento della percentuale di EMC con ripercussioni funzionali nei soggetti trattati rispetto al gruppo di controllo in cui tale farmaco non era impiegato.
L’insorgenza dell’edema maculare cistoide è più facilmente intuibile nei casi in cui si presentino delle complicanze intraoperatorie, come la rottura della barriera capsulo-ialoidea o l’incarceramento dell’iride o del gel vitreale nella ferita chirurgica; casi in cui gli stimoli edemigeno-flogogeni sono pressoché continui.
Lo stesso vale per quei pazienti in cui la barriera ematoretinica sia preoperatoriamente compromessa come nel caso di pazienti con diabete o uveiti.
L’incidenza dell’edema maculare cistoide si è andata modificando negli anni in relazione al miglioramento delle tecniche chirurgiche. In epoca ICCE l’incidenza dell’EMC era, a secondo delle casistiche, intorno al 36%-60% se si considerava l’aspetto fluorangiografico, mentre un quadro sintomatico compariva intorno al 10%; con il successivo avvento della ECCE la percentuale di un quadro fluorangiografico era compresa a secondo delle casistiche tra 44% e 16% mentre di un quadro sintomatico era intorno al 2%, percentuali di un EMC persistente erano dell’1% e dello 0,3% rispettivamente.
In una review del 1994, in cui vengono riportati i lavori pubblicati in letteratura dal 1979 al 1991 sulle complicanze della chirurgia della cataratta, è emerso che l’incidenza di edema maculare clinicamente significativo è nell’ordine dell’1,5%.
L’avvento della facoemulsificazione non ha comportato grossi cambiamenti infatti uno studio del 1999 dimostra che l’incidenza dell’EMC dopo FACO non complicata è paragonabile a quella che si ha dopo una ECCE non complicata con una percentuale di EMC fluorangiografico del 19%. In caso di edema maculare cistoide clinicamente significativo l’insorgenza tipicamente si ha dopo 4-10 settimane dall’intervento, anche se più raramente l’inizio può essere più tardivo; il paziente lamenta un offuscamento o un calo del visus in associazione spesso a micropsia o metamorfopsia. Obiettivamente l’occhio tipicamente è in quiete oppure può rilevarsi una leggera flogosi a livello del segmento anteriore o vitreale, tipico è un aspetto traslucido della fovea con un accumulo di materiale giallastro, nei casi più gravi, già alla biomicroscopia, si può evidenziare l’accumulo di liquido negli spazi cistici. Alla FAG si verifica leakage sia dai capillari del disco ottico che soprattutto dai capillari perifoveali con il colorante che diffonde nelle cavità cistoidi realizzando il tipico aspetto a petalo di fiore.
Di regola il paziente presenta un recupero spontaneo dell’acuità visiva, anche se più o meno lentamente, entro un anno dall’intervento; la percentuale di pazienti in cui si ha un’evoluzione infausta del quadro clinico con degenerazioni pigmentaria della macula fino alla comparsa di un foro lamellare è quantificabile nello 0,3%.
Nel trattamento medico dell’EMC sono state prese in considerazione svariate opzioni terapeutiche. Numerosi sono i dati che dimostrano l’efficacia dei FANS sia nel prevenire che nel trattare questa patologia, e ciò rappresenta un’ulteriore conferma circa l’importante ruolo svolto delle prostaglandine nella comparsa di tale quadro clinico.
In letteratura sono disponibili diversi studi in cui, in caso di EMC, sono stati testati con buona efficacia diversi FANS ad uso topico come Diclofenac 0.1%, Ketoralac 0.5% o Indometacina 1%.
In uno studio si è visto che nella prevenzione il Diclofenac 0.1% ad uso topico ha un’efficacia maggiore che il Fluorometolone 0.1%.
In un’altra ricerca si è visto che la combinazione tra un FANS (Ketoralac 0.5% + Prednisolone acetato 1%) dava migliori risultati rispetto all’uso isolato dei due farmaci, ma si evidenziava anche che il FANS in monoterapia è più efficace dello steroide.
Anche la somministrazione sistemica per os dei FANS (Indometacina) trova un impiego terapeutico. In letteratura sono anche disponibili dati circa l’utilizzo di acetazolamide per via sistemica o di metilprednisolone in bolo.
Non essendovi niente di unitario e codificato riportiamo il nostro comportamento terapeutico in caso di edema maculare cistoide clinicamente significativo:
1. FANS topici ad esempio Indometacina 0.1% collirio 1 ggt x 4 volte/die per 2 mesi;
2. Indometacina 50 mg/die per os per 4 settimane ricordandosi di associare sempre un gastroprotettore; naturalmente l’efficacia di tali terapie va continuamente verificata.
In caso di mancata risposta si può utilizzare l’Acetazolamide al dosaggio quotidiano di 500 mg/die per 10 giorni, associando sempre la somministrazione di potassio. Nel caso vi siano delle alterazioni strutturali con aderenze del vitreo all’iride o alla ferita chirurgica, nel tentativo di eliminare il “primum movens” della patologia, si può prendere in considerazione l’esecuzione di una vitreolisi con YAG-laser o se tali aderenze risultino tenaci può essere praticata una vitrectomia anteriore, anche la vitrectomia posteriore via pars plana sembra avere un ruolo nella risoluzione dell’EMC in quei casi cronici in cui la terapia medica abbia fallito.
Da quanto detto è fondamentale che si tenga conto dell’eventualità di un EMC nelle visite successive all’intervento chirurgico, soprattutto quelle effettuate dopo circa 6-8 settimane, a maggior ragione in caso di disturbi del visus o in quei casi in cui si siano verificate complicanze intraoperatorie predisponenti.
Nei casi dubbi, ma sono pochi in quanto un’accurata biomicroscopia del fondo è sufficiente, l’esecuzione di un esame fluorangiografico consente di dirimere i dubbi e di avviare una corretta terapia.
Nell’attesa del referto della FAG, nel sospetto clinico, si dovrebbe comunque iniziare la terapia farmacologica indicata.
Alla stesura di questo articolo ha collaborato il Dr. A. Avarello, mio collaboratore presso l’Ospedale Sant’Antonio di Padova.

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